mercoledì 4 novembre 2009

MASCARIN (SINISTRA UNITA): CROCEFISSO NELLE AULE, UNA RIFLESSIONE LAICA

Molti degli interventi - anche a livello locale - seguiti alla decisone della Corte di Strasburgo sul divieto d’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche, hanno di fatto sostenuto che un Paese e un’Europa, che non riconoscessero la propria anima cristiana, che escludessero il cristianesimo e ne misconoscessero il valore non soltanto storico ma fondativo, finirebbero in una apostasia da se stessa, prima ancora che da Dio. In questo senso, trovo il riaffacciarsi del tema delle “radici cristiane” ideologico e apologetico. Ma non è una discussione da prendere sotto gamba o solo da cultori della materia religiosa o, viceversa, della laicità. Essa presenta risvolti che, se portati alle loro conseguenze, non sono secondari nella nostra vita pubblica, soprattutto in questa fase della storia italiana. Interrogarsi sulle proprie radici equivale ad immettersi in questioni all’apparenza semplici ma in verità difficilmente risolvibili. Ad esempio, affermare che la nostra tradizione, la nostra cultura, la nostra etica si fonda sul cristianesimo può significare che si assegna, a prescindere dalle genuine intenzioni dei proponenti, una coscienza etica di serie B a tutti coloro che non si riconoscono in nessuna chiesa o religione (che è, ad esempio, il mio personalissimo caso)

Sono sempre stato convinto che la fede che ha bisogno di affermazioni formali è una povera fede. Viceversa, una politica che usa, che fa un uso strumentale, della religione e dei suoi simboli è una povera politica. La religione cattolico-romana non è più da tempo religione di Stato. Ma allora, perché questo continuo riferimento alla "società cristiana", alle “radici cristiane” da rivendicare per difendersi da non si sa quali nemici? La verità, a mio parere, è che si cerca nell’affermazione verbale - reiterata ed insistita - la risposta alla crisi di identità di parte della società. Stefano Levi della Torre ha scritto che “un tempo i credenti pensavano vero ciò che credevano e da ciò traevano la loro identità. Oggi pensano vera l’identità e da ciò traggono il loro credere”. Insomma appare evidente che oggi più della condivisione di convinzioni di fede profonde sembra prevalere la volontà di affermare un’identità collettiva attraverso l’adesione a un credo religioso. E’ l’affermazione di un’appartenenza ad un mondo, ad una cultura e non ad una esperienza di fede.

In questo senso il rischio che oggi stiamo però vivendo è quello di una “confessionalizzazione” delle istituzioni pubbliche, con la strumentale complicità - soprattutto in ambito politico - di tanti “atei devoti”. Credo che in questo contesto il compito della politica sia invece quello di prospettare un futuro che trovi il fondamento nel presente. Un Paese che ha acquisito il valore delle libertà, costruito anche sulle ceneri di sanguinose dittature, non si chiude sul proprio passato, ma si proietta verso un futuro degno della sua storia (quella società multietnica che, per altro, tanto ricorda quella Roma che vide la nascita delle prime ecclesie). È su questa pluralità di radici che dobbiamo edificare la nuova Europa e una nuova Italia e dischiudere i nuovi orizzonti della nostra cultura. Non mi si fraintenda quando dico questo: non penso certo di fare intercultura per sottrazione, "togliendo", azzerando, ricercando una impossibile neutralità. Però, prendere consapevolezza di sé, della propria ricchezza culturale, significa, nel contempo, avere coscienza della "relatività" e "non esaustività" della stessa. E questo non è relativismo etico. I cristiani dovrebbero e potrebbero contribuire alla quotidiana vita sociale accettando di essere una delle voci che dialoga sulla pubblica piazza e dando, su questo piano, la loro appassionata testimonianza. La piena libertà religiosa è il fondamento di ogni stato che voglia dirsi seriamente laico. Essa richiede che nessuna opzione di fede e nessuna manifestazione di culto sia né favorita né discriminata; che il diritto a non professare alcuna religione sia altrettanto garantito, e che lo siano anche tutte le identità sessuali e ogni manifestazione del pensiero; che lo Stato – che ovviamente deve essere democratico e costituzionale - sia insomma garante di libertà e di diritti e non portatore di un’etica.